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MONTEVECCHI (M5S). Signor Presidente, inizierò il mio intervento con una breve permessa che si propone di rispondere ad alcuni colleghi che hanno indirizzato osservazioni in direzione del Movimento 5 Stelle.
Procederò in ordine cronologico e partirò con il collega, senatore Zanettin (che stasera non è presente, ma spero che i colleghi potranno riferire), il quale nel suo intervento dice che il Movimento 5 Stelle cade in contraddizione con i propri principi di democrazia diretta e di trasparenza ostacolando il presidenzialismo che, secondo l’autorevole opinione del collega, ne sarebbe invece espressione.
Probabilmente, potremmo anche discutere intorno alla questione posta dal collega e capire come il presidenzialismo possa coniugarsi con l’esercizio della democrazia diretta, se ci trovassimo in un Paese realmente democratico in cui la vita della comunità si fonda su molti valori condivisi e poche regole scritte. Ma, ahimè, nel nostro Paese proliferano le regole nel deserto dei valori.
In questo scenario, che forse sfugge all’occhio poco acuto del collega, è chiaro che il presidenzialismo sarebbe foriero di sciagure di cui gli italiani – ne siamo sicuri – vogliono fare a meno.
Poi il collega prosegue e intercetta un’altra contraddizione, sempre secondo la sua autorevole opinione, e dice, più o meno, che il Movimento 5 Stelle è contro la corruzione e la corruzione è frutto di leggi vecchie.
Ora, mi permetta il collega di esprimere idealmente una lunga e fragorosa risata tipica della mia terra d’Emilia, poiché questo è l’unico commento che io sento si possa riservare ad una dichiarazione di questo tipo… (Applausi dal Gruppo M5S)…che, probabilmente, è il frutto di quel processo ricordato dalla mia collega Maria Mussini che vede una persona impegnata a distribuire colpe quando si vuole sottrarre ad una sana autoanalisi.
Da ultimo, il rinvio fatto sempre dal collega Zanettin alle osservazioni avanzate dalla banca d’affari JP Morgan sulla qualità della nostra Costituzione, insieme ad altre del Sud Europa, ci fa rabbrividire. Sulla Costituzione pensiamo che l’unico soggetto tutelato a giudicare ed emendare non possa che essere il popolo, ovvero l’insieme di tutti i cittadini i quali, in ragione di una loro dignità e di un potere di critica insopprimibile, possono esprimersi sulla qualità del dettato costituzionale.
Alle osservazioni del collega Zanettin sono seguite quelle della senatrice Bisinella, alla quale evidentemente la notte non ha portato consiglio, se stamane si è lanciata senza paracadute sul terreno del gattopardismo, accusandoci di esserne i novelli portatori, i rinnovatori. Detto dalla rappresentante di una forza politica che, nelle fasi cruciali in cui il nostro Paese poteva davvero rinnovarsi, è stata complice nel preservare lo status quo e, anzi, nel rafforzare il modello partitico oligarchico che ci ha regalato un esercito di nominati, è quanto meno bizzarro.
Infine, il collega Carraro, quando lamenta che le regole del funzionamento del Parlamento sono obsolete, mi dà lo spunto per fare invece la seguente osservazione. Il problema non è l’obsolescenza delle regole del Parlamento. Il problema è che le suddette regole sono molto spesso mal applicate, e faccio un esempio: il lavoro compiuto nelle Commissioni, che di fatto potrebbero funzionare come ottimi gruppi di lavoro, perché spesso in quelle sedi ci si riesce a spogliare delle ideologie – quelle sì che sono obsolete – e a lavorare nel merito e sui contenuti, è spesso sottoutilizzato o male utilizzato, in virtù della perenne emergenza nella quale ci troviamo a dover lavorare.
Detto questo, passerò ad un commento sull’informativa del ministro Quagliariello, avendo in essa ravvisato numerosi paradossi. Il primo paradosso è quello della fretta. Abbiamo letto che, in questo iter, il Parlamento «resta assolutamente sovrano nella sua possibilità e nelle sue prerogative». Ma poi viene detto che l’obiettivo è portare a casa la riforma in tempi rapidi, tempi rapidi che mal si conciliano con la dialettica parlamentare.
Ci è stato detto che la Commissione di saggi è «composta da giuristi e studiosi con diverse sensibilità culturali e politico-istituzionali», ma tra tutte queste sensibilità sembra non sia compresa la sensibilità per il dettato costituzionale, al punto che tutto il processo di riforma di cui stiamo discutendo si basa su procedure irrituali inventate ad hoc e in deroga – una parola che oggi va molto di moda – al sistema di pesi e contrappesi stabiliti dai Padri costituenti, per evitare che un gruppetto di persone più o meno sagge potesse mettere mano in fretta e furia alla Carta fondativa della nostra convivenza civile, senza la garanzia assoluta che le modifiche sarebbero avvenute nel rispetto delle regole e delle minoranze.
Mi riferisco non solo alle minoranze presenti in quest’Aula, ma anche a tutte quelle sociali e culturali che non sono in questo Parlamento rappresentate, e il dato dell’astensionismo ne comprova la loro esistenza. Queste minoranze sociali e culturali avrebbero potuto esprimersi più agevolmente, se il dibattito su temi così delicati avesse coinvolto l’intera opinione pubblica, e non solo un ristretto gruppo di saggi, la cui saggezza non può comunque essere una legittimazione all’autoreferenzialità della classe politica, alla frettolosità o all’utilizzo di procedure ad riformam, inventate di sana pianta per rendere rapido un processo che, nelle intenzioni dei Padri costituenti, doveva invece essere accurato e avrebbe necessitato però di tempo.
Il Ministro ci ha reso edotti sul fatto che la Commissione avrebbe «approfondito le ragioni sottese alla fragilità del nostro sistema politico-istituzionale», senza cogliere il paradosso che la Commissione non è una soluzione a questa fragilità, ma ne è il frutto più maturo e tangibile.
In altre parole, il paradosso è che si sta cercando di risolvere i mali della politica creandone uno più grosso e stabilendo un precedente che in futuro consentirà a chiunque, con le intenzioni più varie, di invocare crisi, stati di emergenza istituzionale, calamità naturali, invasioni di cavallette e allarmi di vario genere come scorciatoie per tagliare e incollare pezzi di Costituzione con la stessa facilità che si potrebbe adoperare per mettere mano, forse, a un regolamento di condominio. Ma probabilmente il paragone è improprio, perché relativamente ai regolamenti condominiali gli amministratori osservano diligentemente le rigide procedure di modifica previste dal codice civile. Nessun capo-condomino, infatti, si sognerebbe di far approvare un nuovo regolamento ad un gruppo di saggi scelti tra amici e conoscenti, per quanto potenzialmente stimabili nella loro saggezza.
Il ministro Quagliariello apre, poi, un altro notevole paradosso quando parla di bipolarismo in un Parlamento tripolare. Capisco il processo di rimozione e il tentativo di fuga da una realtà dolorosa: si fugge nell’illusione di vivere ancora nel bipolarismo, ma – ahimè – Ministro ci siamo anche noi in questo Parlamento e anche con numeri importanti. (Applausi dal Gruppo M5S).
Ma forse si riferiva ad un altro bipolarismo, perché i due poli di un tempo si sono attualmente coalizzati per una opinabile interpretazione del senso di responsabilità, che li ha portati a considerare il mandato elettorale come un assegno in bianco dove scrivere quel che si vuole e non come una cambiale che i cittadini sono già pronti a riscuotere nelle prossime scadenze elettorali, quando potranno esprimere attraverso il voto il loro giudizio sulle attuali alchimie di ingegneria politica che hanno prodotto intese fin troppo larghe, talmente larghe che, forse, nel pericolo di spezzarsi, si sono ristrette al centro dando vita a un monolite di democristiana memoria. (Vivi applausi dal Gruppo M5S).
Un ulteriore paradosso è la strana miscela di semplificazione e autoritarismo descritta come orizzonte di questa riforma, dove la riduzione del numero dei parlamentari non è accompagnata da una riqualificazione del processo dialettico che renda il confronto tra idee diverse più profondo, costruttivo e orientato al bene comune, ma appare come uno tra i tanti strumenti funzionali al decisionismo di una maggioranza «pigliatutto», che fa il bello e il cattivo tempo, senza troppe complicazioni, fino a quando è in sella.
Tra questi strumenti troviamo una fiducia che si vorrebbe addirittura monocamerale, come se quella bicamerale non avesse già abbastanza avvilito la funzione del Parlamento, con il continuo uso e abuso del voto di fiducia da parte degli ultimi Governi, compreso quello attualmente in carica.
II Ministro – lei – ci ha anche informato che «è comunque urgente un intervento di correzione della legge elettorale vigente», ed è paradossale sentire questa affermazione da un uomo politico che siede tra i banchi del Parlamento dal 2006 e che nel 2013 fa parte di una formazione politica e di un Governo che hanno continuato ad aggirare il nodo cruciale della legge elettorale usandolo al bisogno come pretesto di emergenza per formare Governi tecnici o di larghe intese, ma di fatto ignorando questa questione per concentrarsi su questa «grande opera» di ingegneria costituzionale che sta appassionando, sì, molti saggi, ma sta anche preoccupando parecchi cittadini.
Nel frattempo, la legge elettorale invocata dal Ministro nella sua informativa giace abbandonata al suo destino di obsolescenza da chi aveva giurato e spergiurato che l’avrebbe riscritta. Siamo tutti in attesa di un intervento superiore che ce ne consegni una nuova, magari da un roveto parlante che ce la fornisca già incisa su tavole di marmo, come avvenne per le tavole della legge consegnate a Mosè.
In attesa di un miracolo che consegni al Paese una nuova legge elettorale, di cui tutti parlano senza che nessuno se ne occupi tra i banchi del Governo, registriamo lo speculare accanimento con cui si sta spingendo l’acceleratore sulle riforme costituzionali. Di fronte a questo spettacolo potremmo dire che si sta per somministrare un’aspirina ad un malato terminale, ma lo diremmo soltanto se fossimo sicuri che questa riforma costituzionale potesse essere assimilata ad una blanda ed inutile medicina e non ad un potente veleno per la nostra democrazia.
Il Ministro sostiene nella sua informativa che il rischio del ricorso alle larghe intese, anche nelle prossime legislature, può essere scongiurato «solo attraverso una revisione costituzionale» (e qui le conferisco un premio Nobel ad honorem). Vorrei però esprimere la convinzione che, dal 2005 ad oggi, l’autorevolezza e la stabilità delle Istituzioni non sono state messe a rischio da una Costituzione che qualcuno ha interesse a descrivere come obsoleta, ma dalla perdita di credibilità delle stesse Istituzioni per lo spettacolo desolante che ci hanno fornito, da una legge elettorale ribattezzata “porcellum” e dall’assenza di un voto di preferenza, che è un altro dei nostri paradossi.
E’ paradossale, infatti, che il ripristino del voto di preferenza per le elezioni politiche non sia riconosciuto come un passaggio fondamentale per restituire alla politica dignità, rappresentanza e legittimazione, ma solo come una tra le tante opzioni prese in considerazione dai cosiddetti saggi.
L’ultimo paradosso del mio elenco (che forse è il più grande tra quelli che stiamo vivendo in quest’Aula) è che oggi le mani sulla nostra Carta costituente le sta mettendo la stessa classe politica che ha prodotto, nel 2005, una legge elettorale definita dal suo stesso autore una «porcata» e che, di fronte a questa grave responsabilità storica e politica, non vuole ancora correre ai ripari, sia pur tardivamente, ma si appresta a mettere una toppa peggiore del buco, con il rischio, più che concreto, di affiancare alla «legge porcata» una riforma costituzionale che, con buona pace del ministro Quagliariello, ha tutte le premesse per rivelarsi una porcheria. (Applausi dal Gruppo M5S. Congratulazioni).