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“Ministro, colleghi, nonostante anche noi salutiamo con una certa gioia il decreto, poiché ci pare che esso rappresenti il primo tentativo dopo lungo tempo di cercare di mettere ordine in quello che è il mondo dei beni culturali, abbiamo comunque delle riserve in merito a questo provvedimento, riserve che adesso vi esporrò.
Questo decreto legge porta il nome di Valore Cultura ed è stato definito Salva Cultura. Sia il nome che la definizone farebbero intendere che l’ambizioso tentativo del provvedimento fosse quello di offrire una risposta, appunto, alle numerose urgenze che si affollano e gravano in materia di beni culturali, tenendo però caro e saldo il principio del valore della cultura, ovvero ricordando sempre che la cultura è valore, ha un valore e produce valore. Del resto, l’etimo stesso della parola “cultura” ci rimanda al verbo “coltivare”, e noi vogliamo pensare che qui si pensasse di coltivare valori e valore, in un paese civile e democratico ci si aspetterebbe questo. Al di là delle nobili intenzioni, però, a noi pare invece assistere alla solita retorica falso-progressista, che si va sempre piu affermando come modello culturale.Quella, per intenderci, che noi abbiamo visto affiorare e nascondersi fra le pieghe del decreto stesso, in cui si annidano prebende, poltrone e poltroncine allestite per un banchetto al quale trasparenza, merito, buon senso e lungimiranza partecipano come convitati di pietra. La trasparenza del resto rimane relegata nella riserva indiana della rubrica dell’articolo 9 o dimenticata all’occorenza. Del merito ci si ricorda in rare occasioni. Il buon senso latita inspiegabilmente quando più permetterebbe di reperire risorse, e su questo ci torneremo in fase di illustrazione degli emendamti e di votazione.
La lungimiranza ci pare abbia ancora una volta abdicato in favore di una visione guercia e adeguata più a rattoppare che a confezionare, che a costruire. E dire che dalle linee programmatiche c’era apparso che, se pur talora criticabili o perfettibili, il ministro avesse delle intenzioni rivoluzionarie. E pertanto, a voler pensare male, si direbbe quasi che la mano che ha scritto il proveddimento, soprattutto in alcuni sui articoli, non sia quella del ministro ma quella di chi persegue la strategia già iniziata da tempo di relegare la cultura al ruolo di orpello di lusso, negandole, ancora una volta, l’opportunità di uscire da quelle regioni e di esprimere tutto il suo potenziale di risorsa inesauribile di arricchimento intellettuale e spirituale. Quell’arricchimento che porta alla formazione di menti critiche capaci di partecipare ai dibattiti che nascono attorno alle questioni centrali della nostra comunità. Un bisogno che noi sentiamo come comunità molto profondo, soprattutto considerato il ventennio di imbarbarimento dal quale stiamo uscendo. Soprattutto considerando l’importanza che hanno avuto e che ancora hanno veline e tronisti, outlet e fastfood.
Questo bisogno si riflette anche dentro al parlamento. Questa incapacità di dibattere la ritroviamo anche nelle nostre aule. Qui c’è la morte delle idee. Qui era bene, e qui avevamo l’opportunità, di fare qualcosa nella direzione che ci indica un filosofo, Chiaromonte, e che dice «la cultura infatti non è il terreno della verità, ma della disputa intorno alla verità». Io non voglio pensare che questa sia una occasione persa perché ancora ci apprestiamo ad affrontare una fase emendantiva, e quindi io prego il ministro di tenere da conto, di ricordarsi di queste considerazioni quando inizieremo l’esame del proveddimento, perché se noi vogliamo un vero rinnovamento di questo parlamento che porti a scelte di buon senso, il rinnovamento dovrà avvenire prima fuori, poiché noi siamo espressione ed emanazione della comunità che siamo chiamati a rappresentare.”