MONTEVECCHI (M5S). A pagina 333 del DEF (tre numeri perfetti), nel capitolo I.9, «Il contesto: la giustizia e la sicurezza come asset reali per lo sviluppo del Paese», leggo: «Va inoltre portata a termine la revisione della disciplina per la prevenzione e repressione della criminalità organizzata (…)», eccetera. Quando ho letto la suddetta pagina, al pensiero di quello che ci aspettava oggi in Aula, mi sono detta che le opzioni interpretative erano varie; varie come le facce che questa maggioranza mostra a seconda che si trovi dentro o fuori da questo Palazzo.
Vi do le seguenti tre opzioni interpretative, per poi arrivare all’emendamento 1.49, che è in contrasto con quanto c’è scritto qui: in primo luogo, vi è un evidente scollamento tra il giovane Holden e la variegata e buffa fauna di parlamentari che popola l’attuale maggioranza, poiché nel DEF c’è scritta una cosa e oggi noi qui ci troviamo a difendere un provvedimento da una maggioranza che lo vuole riportare ad una versione sconcertante, oltre che pericolosa per la legalità in questo Paese. (Applausi dal Gruppo M5S). Lo scenario che si profila da questo ipotetico scollamento è interessante.
In secondo luogo, i parlamentari fanno il lavoro sporco per salvare le manine di Matteo, quelle manine che tanto gli piace frullare quando parla, perché più frulla le manine, più si frollano i cervelli di chi lo ascolta.
CARDINALI (PD). Anche il tuo!
PRESIDENTE. Parli degli emendamenti, senatrice Montevecchi.
MONTEVECCHI (M5S). La cronica incoerenza che ammorba il nostro giovane pieno di speranze e che fa sì che confermi la cristallina continuità con un passato che avanza.
Detto questo, l’emendamento 1.49 tende a riportare le pene previste dai quattro anni nel minimo e dieci nel massimo – sono state tagliate del 40 per cento – di nuovo a sette anni nel minimo e a dodici anni nel massimo.
PRESIDENTE. Concluda, prego.
MONTEVECCHI (M5S). Certo, Presidente.
Perché questo abbassamento delle pene ha due principali effetti assai pericolosi. In primo luogo, con una condanna fino a quattro anni non scatta l’interdizione perpetua dai pubblici uffici. (Applausi dal Gruppo M5S).
CASTALDI (M5S). È questo il punto!
MONTEVECCHI (M5S). Quindi, in caso di condanna a quattro anni, il condannato potrebbe continuare la sua attività nei pubblici uffici, una volta trascorsa la pena.
In secondo luogo, vi è la prescrizione: premettendo la difficoltà che una pena così esigua si traduca effettivamente nella detenzione in carcere, è opportuno ricordare che minore è la condanna, minori sono i requisiti temporali affinché quest’ultima cada in prescrizione. Una volta trascorso il tempo necessario…
PRESIDENTE. Concluda.
MONTEVECCHI (M5S). …affinché il reato cada in prescrizione, il reato commesso viene estinto (e nel nostro passato abbiamo esempi illustri di estinzione dei reati per prescrizione), a meno che l’accusato non rifiuti la prescrizione al fine di portare a termine il processo.