Ennio Flaiano sosteneva che il libro è l’unico oggetto inanimato che possa avere sogni… Mi piace ricordare questa immagine, nella «Giornata mondiale del libro e del diritto d’autore» che si celebra oggi, anche se, per la verità, la notizia è rimasta piuttosto in ombra sulle pagine dei giornali…
Il libro non è un semplice oggetto di consumo, come molti vorrebbero farci credere. Tuttavia è lecito interrogarsi. Come cambiano scrittura e lettura a fronte della grande trasformazione multimediale e tecnologica in atto? Come cambiano, in una prospettiva in cui la funzione di narrare in sintonia con i tempi e i ritmi della realtà circostante è svolta principalmente dal cinema, dalla televisione e da Internet? Come cambia l’oggetto-libro nell’epoca delle classifiche, della pubblicità, del best-seller e delle mode editoriali, fenomeni, cioè, che tendono ad azzerare le differenze fra il successo e il valore di un’opera?
Siamo un Paese che produce troppi libri e che legge troppo poco: la quantità prevale sulla qualità, “l’informazione” si sostituisce sempre più alla “conoscenza” e, di conseguenza, la capacità di interpretazione critica si assottiglia generando, purtroppo, un insistito livellamento verso il basso. Non solo, ma in piena civiltà digitale e a fronte della grande trasformazione cui accennavamo, la parola scritta, a qualsiasi livello, non può subire gli effetti di uno svuotamento, di una perdita di peso, una sorta di banalizzazione, nella sempre più radicata convinzione che qualsiasi cosa, compresi i concetti più difficili, possano essere spiegati e quindi “tradotti” in parole semplici. È una sciocchezza: argomenti complessi richiedono un linguaggio complesso. Per questo il libro, a tutti i livelli, mantiene una funzione centrale e insostituibile nella formazione, non solo scolastica: perché plasma il lettore, lo abitua a formulare le domande giuste, affina l’intelligenza della sensibilità, produce conoscenza…
Certo, nella prospettiva mercantilistica e della monetizzazione della cultura in cui viviamo immersi, la letteratura di consumo appare sempre più come la faccia più esposta dell’odierno conformismo: e tuttavia una letteratura di qualità sopravviverà solo se sarà in grado di attraversare, facendosene interprete, i diversi linguaggi, secondo una marca stilistica forte che restituisca alla parola scritta originalità, unicità, spessore.
A fronte di un’editoria sempre più sbilanciata sul guadagno, che sempre più «spera» e sempre meno «vuole», l’augurio è che in generale possa innalzarsi il livello complessivo di tutti i consumi culturali, e che il libro – nelle sue diverse declinazioni, fra la sopravvivenza del cartaceo e le grandi opportunità del digitale – continui a rappresentare una “occasione”; sia ancora in grado, cioè, di spiegare il mondo in cui viviamo, sia uno specchio capace di offrircene un’immagine, a prescindere dai contenuti che di volta in volta veicola. Perché chi non rinunci a una assunzione di responsabilità di fronte ai mutamenti in atto, possa, infatti, ancora ravvisare nella parola scritta e dunque nel libro in tutte le sue forme, un luogo fragile ma certo, una possibilità, circoscritta quanto si vuole, ma insostituibile di verità.