L’Italia, anziché essere governata da un Presidente del Consiglio e da una squadra veramente interessati ad elaborare delle strategie per farci uscire da questo tunnel, è governato da una banda che mette mano alla Costituzione, che fa pasticci normativi e che continua a non fare quello che dovrebbe fare:
Signora Presidente, se il senso del DEF, detto in termini generali e anche volgari, è vendere la pelle dell’orso prima di averlo cacciato, tanto più lo è in riferimento al comparto dell’istruzione. La «buona scuola», infatti, annunciata ogni ora come la pietra angolare del sistema di riforme del Premier, non solo non è una norma approvata, è ancora sotto forma di disegno di legge ma, a prescindere dalle deleghe in essa contenute, è un pasticcio, dal quale emerge chiara un’unica visione: quella della scuola-azienda.
Dico che è un pasticcio, ad esempio, perché uno dei parametri su cui si sarebbe dovuta basare la copertura prevista per tale riforma, che oggi naviga nelle nebbie più fitte, è il numero degli insegnanti da mettere in ruolo, attraverso il famoso piano straordinario di assunzioni, previsto in questo provvedimento. Si tratta di un numero che oscilla costantemente proprio a causa della copertura finanziaria. Manca infatti una quantificazione realistica sia del numero dei precari, sia delle cattedre che occorre ricoprire, e quando finalmente il Ministero, qualche giorno fa ha provato a dare qualche numero, il programma statistico nazionale, con un’operazione autonoma, ha dovuto aggregare quei dati che erano disgregati, ricomporli in modo che fossero leggibili e dirci, in buon sostanza, che i numeri non sono quelli che ci sono stati dati e tutto continua a cambiare di ora in ora. Il DEF ci informa, a pagina 557, che il piano della «buona scuola» è stato anche indicato come progetto strategico della task force dell’Unione europea e della Banca europea degli investimenti.
Tale segnalazione in ordine al piano di investimenti presentato dai singoli Stati nazionali alla Banca europea per gli investimenti non vuol dire affatto che i fondi ci siano e che vengano devoluti allo scopo. Dunque – ascoltate bene – non è affatto sicuro che i progetti riceveranno i finanziamenti previsti e, ancora una volta, si gioca con le parole, anzi con i paroloni, mascherando un vuoto e vendendo illusioni.
Passiamo all’edilizia scolastica. Nonostante l’enfasi con cui i relativi piani erano stati annunciati fin dal principio dell’azione di Governo, questo famoso piano per l’edilizia scolastica non decolla. L’Anagrafe nazionale prevista già nel 1996 non è operativa e manca una programmazione di medio e lungo termine, anche per le difficoltà di far confluire i fondi in un unico contenitore cui attingere in maniera mirata e razionale. Come sappiamo, gran parte delle risorse che erano destinate all’edilizia scolastica in realtà non sono state spese e, nel frattempo, sappiamo tutti molto bene che le scuole crollano. Anche nel DEF nulla ci viene detto per confortarci e per rassicurarci sul fatto che, finalmente, il Piano dell’edilizia scolastica che prevedeva le scuole belle, le scuole nuove e le scuole sicure finalmente inizierà ad avere una qualche efficacia.
Sui problemi dell’università farò un volo planare perché, anche qui, si parla tanto di innovazione e molto di valutazione e di premialità. Però, in realtà, quello che emerge è il quadro di una università che, se vuole vedere finanziamenti, li vede attingere sempre dai fondi che ad essa erano già destinati. Si tratta, quindi, di un’università che finanzia se stessa. Ci sono poche idee e confuse, soprattutto a breve termine, per cucire le solite toppe, senza invece un disegno ed una visione di insieme che rilancino veramente un comparto fondamentale come quello dell’università e della ricerca per un Paese in crisi, come ci insegnano Paesi stranieri che, nei momenti di crisi, hanno aumentato i propri investimenti nel comparto della ricerca e dell’università. Noi, invece, sempre così illuminati e lungimiranti, nei momenti di crisi continuiamo a perpetrare tagli. In quali comparti? In quelli della scuola, dell’università e della ricerca scientifica e della cultura, come se vivessimo in un Paese in cui questi tre comparti non potessero invece essere un motore trainante anche dell’economia. Ormai, però, ci siamo stancati di ripetere queste cose, perché le ripeteva qualcuno prima di me. Ho iniziato a ripeterle io, da quando sono entrata dentro questo Parlamento e, insieme a me, altri colleghi. Però, ad ogni appuntamento in cui si parla di stabilità o di legge finanziaria, continuiamo a vedere sempre le solite pratiche di un Governo che non è illuminato, ma guercio.
Mi avvio a concludere. Al di là dell’essere un Governo guercio e ritornando un attimo al piano della «buona scuola», possiamo prenderla come esempio e come metafora di un vuoto nel quale sta sospeso un Paese che, anziché essere governato da un Presidente del Consiglio e da una squadra veramente interessati ad elaborare delle strategie per farci uscire da questo tunnel, è governato da una banda che mette mano alla Costituzione, che fa pasticci normativi e che continua a non fare quello che dovrebbe fare. (Applausi dal Gruppo M5S).24